Enrico Vanzina, regista e sceneggiatore, perché tornano in scena i personaggi più iconici per i romani?
«Perché rispecchiano l'ironia romana, quell'atteggiamento tutto nostro verso la vita che ci fa comunque sorridere. E poi, parliamoci chiaro: il cinema, anche se è nato a Torino, parte da Roma e lo stesso vale per l'umorismo e la comicità nel cinema».
Anna Fendi, l'imprenditrice vince il premio “Presidio culturale italiano”
Il "Marchese del Grillo" Max Giusti arriva in carrozza mercoledì al Teatro Sistina
Il cinema è romanocentrico?
«Lo è stato per tanto tempo, specie all'inizio: l'umorismo romano, la romanità in chiave di commedia è stata centrale nel cinema. Sullo stesso piano anche l'umorismo napoletano, grazie a Totò e Peppino De Filippo. Solo dopo si sono aggiunti, lentamente, tutti gli altri».
Quali è giusto citare?
«Ho iniziato io con il primo con Pozzetto, portando un umorismo del Nord a cui non si era abituati. Poi ho fatto debuttare anche Abatantuono e la città in cui ho fatto più film è Milano ma servivano i romani per farlo. Solo dopo sono arrivati Aldo Giovanni e Giacomo, i toscani con Pieraccioni e ora i pugliesi con Zalone.
La romanità che non tramonta mai?
«Nella romanità, ci sono personaggi che vanno al di là del dialetto: sono icone nazionali. Mio padre Steno ha lavorato sia con Sordi sia con la Sora Lella: hanno creato uno stile ben definito, vengono riproposti con un valore antropologico molto forte.
Sora Lella è stata tra le prime donne comiche?
«Ce ne sono poche e sono, per lo più, romane: da Monica Vitti a Paola Cortellesi. Personaggi cinematografici fortissimi».
I film più iconici dell'umorismo romano?
«Un americano a Roma, Il Marchese del Grillo e Febbre da cavallo. Poi c'è Carlo Verdone».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 10 Ottobre 2022, 10:29
© RIPRODUZIONE RISERVATA