Parente povero, di specie gregaria, sa di fango e via via denigrando. Chiamato muggine o cefalo, è snobbato perfino nei ricettari. Uno dei pochi a dedicargli spazio è “Pesce. La piccola pesca e la sua cucina” di Slow Food Editore. «Predilige – leggiamo – i tratti di mare comunicanti con lagune salmastre e foci di fiumi, che frequenta e che spesso gli avannotti risalgono. Ha carni sode e gustose, ottime cotte al forno, alla griglia o al cartoccio ma anche bollite. I cefali piccoli sono una componente importante di alcune zuppe marinare, brodetti adriatici e cassola sarda». È semigrasso, molto digeribile, ricco di omega 3 e proteine. Insomma, se pescato in mare aperto dove si nutre di alghe o allevato bene, ha poco da invidiare a pesci più nobili, ma è decisamente più conveniente. Al Car di Guidonia, l’enorme Centro agroalimentare alle porte di Roma, all’ingrosso ieri mattina il Botolo (la varietà più popolare) e il Volpina (considerato il migliore) erano entrambi quotati in una forbice tra i 2 e i 4 euro al chilo. Stesso prezzo ai mercati generali di via Lombroso a Milano, per la muggine del Tirreno e dell’Adriatico.
SOSTENIBILITÀ
Enorme la distanza col Branzino (o Spigola) del Tirreno che – sempre ieri all’ingrosso – quotava intorno ai 16 euro (meno, se proveniente da Grecia e Turchia). Adesso, assecondando la voglia di sostenibilità, sta entrando prepotentemente nei menu dei “cuochi etici” attenti all’ambiente e che amano rifornirsi dai piccoli pescatori locali. «Noi – racconta Toti Fiduccia, nel settore da 30 anni, patron del Cortile Pepe di Cefalù – coerenti con il pensiero di valorizzare tutto ciò che il nostro mare ci dona, utilizziamo il cefalo di fondo che purtroppo è poco apprezzato.
LA TRADIZIONE
«Lo considero – afferma Ciervo – un piatto della tradizione, ma come sempre, per me la tradizione è senza regole, perché solo cosi c’è evoluzione». Restando in Sardegna, un’attività tradizionale negli stagni salmastri di Cabras è la produzione di bottarga di muggine (anche in Toscana nella laguna di Orbetello). «Con le sacche cariche della femmina, salate, pressate ed essiccate – precisa Slow Food – si produce la più pregiata delle bottarghe, conserva di probabile origine araba che si gusta come antipasto, tagliata a fettine sottilissime e irrorata con un filo di extravergine, o come condimento della pasta».
Ultimo aggiornamento: Martedì 14 Maggio 2024, 05:50
© RIPRODUZIONE RISERVATA